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Corpi idrici che respirano

I fiumi sono un complesso e affascinante ecosistema in continua evoluzione e ospitano molta più vita di quella che siamo in grado di vedere ad occhio nudo

Una delle modalità per fare il campionamento dei pesci è generare un campo elettrico in acqua. Gli esemplari subiscono un leggero stordimento e finiscono, così, nel retino degli ittiologi

Siccità e diminuzione delle portate mettono in pericolo la vita dei fiumi e della biodiversità che ospitano

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E se l'ecosistema non è in salute gli impatti prodotti dalle attività umane sono molto più forti e difficili da gestire

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Stando ai dati a disposizione, meno della metà dei corpi idrici italiani si trova in buono stato ecologico. L'obiettivo è aumentare sensibilmente questa quota entro il 2030

I fiumi sono ‘case’ ricche di vita. Purtroppo, la rapida mutazione delle condizioni climatiche e la pressione antropica stanno pregiudicando le capacità di adattamento dei suoi abitanti

Come si riconosce un habitat fluviale in salute?

ELEVATO
BUONO
SUFFICIENTE
SCADENTE
PESSIMO

Indice di Integrità dell'Habitat (IH)

I macroinvertebrati sono creature meravigliose. Alcuni di essi hanno modificato la morfologia del proprio corpo per resistere alle forti correnti o per aderire meglio ai sassi e non farsi trascinare via

Per prelevarne dei campioni occorre scandagliare il fondo del fiume con un retino montato su un telaio metallico. Operazione che richiede pazienza e buon colpo d’occhio

In laboratorio vengono poi caratterizzate le comunità di macroinvertebrati, così da avere la fotografia completa della popolazione che abita uno specifico ecosistema

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La scienza definisce larve e adulti di insetto, molluschi, crostacei e sanguisughe ‘bioindicatori’, perché dalla loro presenza si può desumere lo stato di salute di un ambiente fluviale

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I fiumi ed i loro ecosistemi sono a rischio, principalmente a causa delle attività umane. Basti pensare che nel reticolo fluviale si riversano gli scarichi dei nostri centri abitati, grandi e piccoli. Stando ai dati forniti da Utilitalia (la federazione che riunisce le Aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas), il 60% circa delle acque reflue subisce processi di depurazione prima di essere immesso nell’ambiente ma sono ancora molti gli scarichi che defluiscono nei fiumi senza aver prima subito un trattamento. Guardando all’Italia, nei corpi idrici caratterizzati da deflussi minimi o molto bassi un eccesso di nutrienti (come azoto e fosforo) o altri agenti inquinanti (antiparassitari, erbicidi, metalli pesanti) può far perdere la naturale capacità di autodepurazione e questa condizione può comportare un forte degrado dell’ambiente fluviale.

Dai risultati di recenti monitoraggi sull’applicazione della Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE (che mira a “Impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali e di quelli fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato delle acque superficiali, obiettivo originariamente da raggiungere entro il 2015 e ora spostato al 2030) sappiamo che vi è ancora molto da fare per migliorare lo stato ecologico dei nostri fiumi. Ad oggi, infatti, soltanto il 43% dei 7.494 corpi idrici censiti ha raggiunto un “buono stato ecologico”.

Anche sul fronte della tutela della biodiversità occorre intensificare le azioni. Secondo la lista rossa IUCN (International Union for the Conservation of Nature), in Italia, oltre il 25% delle specie di pesci d’acqua dolce sono in pericolo e per oltre il 30% delle specie autoctone non abbiamo informazioni sufficienti sulle loro richieste ambientali, in termini di habitat.

Il terzo grande nemico dei fiumi è la crisi climatica che sta accelerando il ciclo idrologico e modificando la durata, l’intensità e la localizzazione dei fenomeni estremi: ci riferiamo tanto ai periodi di scarsità idrica quanto agli eventi di piena improvvisi. Il riscaldamento globale quindi non provoca solo la fusione dei ghiacci ma, secondo le stime, farà diminuire fino ad un massimo del 30%, la disponibilità d’acqua nell’area mediterranea e nelle zone semi-aride del pianeta. In ultimo ma non per ultimo, la presenza delle specie aliene nei corsi d’acqua. Un esempio su tutti è quello del pesce siluro che proviene dall’Europa dell’est ed è stato introdotto negli anni ’50 in ragione di campagne di ripopolamento ittico. Oggi questo pesce è considerato, in Italia, molto invasivo, al punto che in varie regioni sono state varate leggi ad hoc per promuoverne la cattura e l’eliminazione.

I macroinvertebrati, che includono larve di insetti, crostacei e molti altri organismi, si trovano nei fiumi e nei laghi e danno informazioni preziose sulla qualità delle acque dal punto di vista del carico organico che presentano (se, cioè, si tratta di acque incontaminate, depurate, inquinate ecc.). Per tale ragione, la scienza li definisce ‘bioindicatori’.

Monitorare la salute di un corso d’acqua significa, dunque, recarsi sul campo e compiere delle ‘retinate’ sul fondo del fiume al fine di prelevarne un certo numero.
Successivamente, questi organismi vengono portati in laboratorio e lì i ricercatori provvedono ad identificare le specie per poi fare la caratterizzazione delle comunità. La grande novità della modellazione di un ecosistema fluviale attraverso il metodo MESOHABSIM sta proprio nel non limitarsi a campionare solo i pesci , come si faceva in passato, ma prendere in esame tutte le forme di vita che abitano la ‘casa’ del fiume. Un’ulteriore importante informazione che danno i macroinvertebrati è infatti quella relativa alla portata e alla velocità della corrente. Gli esperti desumono questi dati osservando la tipologia di adattamenti morfologici che questi organismi hanno sviluppato nel corso del tempo per sopravvivere e proliferare in determinate condizioni.

In acque particolarmente ‘ferme’ per esempio, potrebbe non esserci ossigeno a sufficienza, e così alcune specie hanno imparato ad uscire a prendere una boccata di ossigeno atmosferico per poi reimmergersi. Così come altre, che vivono in acque veloci, con una forte corrente, hanno subito un processo di adattamento morfologico del corpo che si presenta  più idrodinamico. Alcune, addirittura, hanno in dotazione una sorta di ‘spoiler’ (gli Ecdyonurus) che serve a deviare l’acqua. Altre ancora hanno delle ventose sulla parete addominale (come i blefariceridi) o si costruiscono delle piccole basi di seta che aderiscono ai sassetti sul fondo del fiume e su cui si attaccano grazie a degli uncini (i simulidi).
Quando c’è una situazione di intermittenza idrologica (un fiume, od un tratto di esso, va in secca per periodi anche prolungati) la presenza dei bioindicatori aiuta a capire quanto tempo ci mette un ecosistema a ripristinarsi. Ovviamente la velocità del processo di ricolonizzazione dipende dal tratto del fiume (lunghezza e posizione geografica) interessato e dall’entità del periodo di secca.